Se oggi si parla del cinema di fantascienza non solo come di un prodotto di puro intrattenimento, di una forma di spettacolo di "serie B", priva di ogni dignità, ma come di un genere cinematografico meritevole di studio e riflessione, dalle diverse e articolate relazioni con la letteratura, specchio di atteggiamenti culturali e politici, legato all’interpretazione e alla valorizzazione della tecnologia, il merito è in gran parte di questo saggio di Vivian Sobchack, salutato alla sua prima pubblicazione negli anni Ottanta come un’opera rivoluzionaria nella critica cinematografica della science fiction. L’autrice è poi tornata a rivisitare il suo testo, ampliandolo e approfondendolo, ma sempre mantenendo inalterati i parametri dell’analisi, che sono di natura visiva e aurale, e mirano a definire proprio formalmente il genere. Il suo tentativo di fondare la fantascienza cinematografica in termini teorici su una "poetica" resta un approccio originale, che non ha perso nulla della sua forza e della sua capacità di penetrazione. Un "classico" che ha ancora molto da dire allo studioso, come ai tanti appassionati di questo genere.
© 2002, pp. 334
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